A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino

Incontro pubblico al Municipio 2 del Comune di Milano

A 30 anni dalla caduta del Muro


Registrazione e report giornalistico

di Pierangelo Mastantuono

Saluto

Samuele Piscina
Presidente Municipio 2 del Comune di Milano

Moderatore
Marzio Nava
Assessore Cultura Municipio 2

Introduzione storica
Giorgio Galli

Storico e politologo, I.S.P. – Istituto Studi Politici

Il racconto dei fatti
Luciano Garibaldi
Giornalista e inviato speciale, I.S.P.

L’intreccio politico e diplomatico
Sergio Vento
Ambasciatore, presidente V&A

Intervento programmato:
Felice C. Besostri
costituzionalista
testimone diretto dei fatti di quei giorni

Ideazione e Organizzazione incontro: Daniele Vittorio Comero

Scarica la Locandina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marzio Nava
Assessore alla cultura e vice presidente del municipio 2 di milano. Giornalista (per molti anni redattore de il sole 24 ore) e consulente aziendale.

Luciano Garibaldi
giornalista professionista dal 1957, nella sua lunga carriera è stato inviato speciale, caporedattore e vicedirettore di quotidiani («Corriere Mercantile», «La Notte») e periodici («Tempo», «Gente», «Candido»), collaboratore de  «Il Giornale», «Avvenire», «La Nazione». Tra i suoi numerosi libri si ricordano: «I giusti del 25 aprile. Chi uccise i partigiani eroi?»; «La pista inglese. Chi uccise Mussolini e la Petacci?»; «Gli eroi di Montecassino. Storia dei polacchi che liberarono l’Italia».

Giorgio Galli
Storico e saggista, già docente di Storia delle dottrine politiche presso l’Università degli Studi di Milano, è uno dei massimi politologi italiani. Già Presidente dell’Umanitaria (1978) e direttore del Mulino.Tra le sue opere: Hitler e il nazismo magico (Rizzoli 1989), Storia dei partiti politici europei (Rizzoli 1990), Partiti politici italiani (1943-2004) (Rizzoli 1991), Mezzo secolo di Dc (Baldini Castoldi Dalai 2004), Esoterismo e politica (Rubbettino 2010), L’impero antimoderno (Bietti 2013), Il golpe invisibile (Kaos 2015).

Presidente dell’Istituto di Studi Politici dal 2018.

Sergio Vento
Ambasciatore. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Roma, ha iniziato la carriera diplomatica lavorando con i sottosegretari Arialdo Banfi e Mario Zagari. Ha ricoperto incarichi di rilievo nelle ambasciate italiane a L’Aia, Buenos Aires e Ankara a cavallo tra la fine degli anni ’60 e gli anni ‘70. Dal 1979 al 1984 è vice rappresentante permanente italiano presso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico a Parigi. Nel 1989 è Ambasciatore d’Italia a Belgrado. Ambasciatore di grado dal 1991. Dal 1992 al 1995 è consigliere diplomatico dei presidenti del consiglio Giuliano Amato, Carlo Azeglio Ciampi, Silvio Berlusconi e Lamberto Dini. Dal 1995 al 1999 è Ambasciatore a Parigi. Dal 1999 al 2003 è Rappresentante Permanente Italiano presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e dal 2003 al 2005 Ambasciatore d’Italia a Washington. Nel 2005 lascia la carriera diplomatica per raggiunti limiti di età. Successivamente è stato docente di Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS di Roma.

Daniele Vittorio Comero

Vice presidente dell’Istituto Studi Politici. Ha lavorato alla Città Metropolitana di Milano come direttore del Periodico CIVICA  e dell’Osservatorio elettorale statistico metropolitano. Laurea in Scienze Politiche alla Statale di Milano, diploma universitario di Statistica alla U. Cattolica di Milano. Ha fatto parte del Comitato scientifico della Società Italiana di Studi Elettorali – SISE – dal 1995 al 2014. Ha scritto con Giorgio Galli: “Stella e Corona” (2011) “Ricostruire la Democrazia” (2012) e “L’Urna di Pandora” (2014) con Felice Besostri. “Milano al voto” con Giancarlo Rovati (1999), “Il Modello dell’Elezione Diretta”, Prometheus, (1998). Coordinatore delegazione SISE e osservatore a Mosca al turno di ballottaggio del 2 luglio 1996 delle elezioni presidenziali russe, osservatore internazionale alle prime elezioni presidenziali Russe del giugno 1991. E’ stato Consulente della Corte d’Appello di Milano alle elezioni provinciali 1999 e 2004. Analista politico e giornalista.

LE DIMENSIONI DEL MURO DI BERLINO

Il muro – eretto dalle autorità della DDR comunista a partire dal 13 agosto 1961 per arginare il flusso incessante di tedeschi orientali verso ovest, e caduto il 9 novembre 1989 – tenne ermeticamente divise Berlino e l’Europa nei 28 anni più bui della Guerra Fredda.

La barriera si snodava per complessivi 155 km, dei quali 43,1 km separavano Berlino Est occupata dai sovietici dalla parte occidentale della città sotto controllo alleato (USA, GB, Francia), mentre i restanti 111,9 km isolavano Berlino Ovest dal resto della Germania comunista. Migliaia di famiglie si trovarono all’improvviso separate.

LA STRUTTURA DEL MURO DI BERLINO

TRENT’ANNI FA CROLLAVA IL MURO DI BERLINO E FINIVA IL COMUNISMO IN EUROPA

di Luciano Garibaldi

Il muro di Berlino, che era stato, per quasi trent’anni, l’espressione materiale e visiva della «cortina di ferro» calata sull’Europa (definizione coniata da Churchill nel 1946 nel suo celebre discorso di Fulton), fu abbattuto dagli abitanti di Berlino Est (studenti, operai, persino poliziotti), quando si ebbe la precisa sensazione che l’Unione Sovietica non avrebbe più reagito con la forza, come era avvenuto proprio a Berlino nel ’53, poi a Budapest nel 1956 e a Praga nel 1968.

Quel 9 novembre di trent’anni fa, giorno dello storico evento, a Mosca comandava Mikhail Gorbaciov, un uomo ragionevole sul quale – particolare da non sottovalutare – esercitava una notevole influenza l’anziana madre, cattolica praticante e devotissima alla figura di Papa Wojtyla. I comunisti duri e puri, gli stalinisti ad oltranza, erano ormai divenuti minoranza. Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia stavano lentamente sganciandosi dall’impero. La Germania Est (DDR, Deutsche Demokratische Republik) era la più refrattaria all’ondata di libertà che stava travolgendo l’Europa Orientale, grazie alla struttura poliziesca dello Stato e a personaggi formatisi nelle scuole di partito, come il capo della STASI Markus Wolf.

Chi ha visitato la Germania comunista prima e dopo l’erezione del muro (avvenuta nel 1961), come il sottoscritto, ne conserverà per sempre un ricordo a dir poco agghiacciante.

Un esempio per tutti: venivo fermato di continuo da persone che mi chiedevano di nasconderle nel portabagagli della mia auto per consentire loro di oltrepassare la frontiera. E la risposta era, purtroppo, no. I «Vopò» (da Volks Polizei, polizia del popolo) smontavano persino le ruote di scorta delle vetture che attraversavano il confine.

A chi invece non l’ha visitata, dice tutto il film «La vita degli altri», di Florian von Donnersmark, Premio Oscar 2007, sugli orrori della STASI (Staats Sicherheit).

Mentre è stato accertato che in URSS almeno il 2% della popolazione lavorava per il KGB, in Germania Est si superava il 5%. Su 8 milioni di abitanti, quasi mezzo milione erano agenti o collaboratori («Inoffizielle Mitarbeiter») della STASI, comunque stipendiati per spiare vicini di casa, amici e parenti. Ogni famiglia era catalogata: pensieri, abitudini, tendenze sessuali, amicizie, opinioni politiche. Nelle giornate del crollo del muro furono distrutte tonnellate di fascicoli e di schedature impegnando migliaia di macchine trita-documenti. Markus Wolf si salvò con la fuga.

In compenso, la Commissione Gauck, incaricata di gestire gli archivi della STASI (o almeno ciò che era rimasto di essi), autorizzò l’accesso ai documenti a chiunque ne facesse richiesta. Fu un fenomeno di massa: la gente correva a frugare negli archivi per scoprire chi erano i traditori e non di rado veniva a sapere ch’erano stati la moglie, o il marito, o magari il migliore amico.

Lo smascheramento di quelle viltà fu l’unica forma di vendetta determinatasi dopo il crollo del blocco sovietico: una vendetta incruenta, perché mai si arrivò, in nessuna nazione dell’Est europeo, ad una Norimberga per il comunismo. I responsabili furono circondati dal disprezzo e dalla vergogna, ma illesi: vivi e vegeti ancora oggi. Nessun «sangue dei vinti». Anzi, c’è chi ha fatto carriera.

Anche in Russia il comunismo aveva dominato con metodi polizieschi, ma non con la precisione teutonica della DDR, dove chi cercava di ragionare con la propria testa non aveva scampo: perdeva il lavoro, la salute, spesso gli affetti più cari.

Quanto ai Paesi liberi dell’Europa, alla loro scarsa capacità di andare in soccorso di quelle centinaia di milioni di fratelli europei che subivano l’oppressione comunista, vale la pena di rileggere alcune pagine del libro di Robert Conquest «Il secolo delle idee assassine», laddove spiega le vere ragioni che impedirono all’Occidente di vincere la «guerra fredda», limitandosi ad assistere, come se fosse un pubblico pagante, al crollo del muro di Berlino voluto dagli oppressi.

«Gli idealisti», scrive Conquest, «pensavano che quella dell’Unione Sovietica fosse una società buona, i pragmatici pensavano che fosse una società normale. Sia gli uni che gli altri si ingannavano. I rapporti dell’Occidente con l’URSS erano distorti non solo dalla presenza di sostenitori dei sovietici tra l’elettorato occidentale, ma anche da errori di prospettiva all’interno del nostro corpo diplomatico e nelle nostre compagini di governo. Memorabile il pandemonio sollevato dagli avversari politici di Ronald Reagan quando questi definì l’URSS “evil empire”, impero del male. Che tale espressione fosse quanto mai appropriata, fu in seguito ammesso pubblicamente dai leader post-sovietici, tra i quali il ministro degli Esteri russo Andrej Kozyrev».

E dallo stesso Michail Gorbaciov, oggi ottantanovenne.

 

La storia del Muro

Ma vediamo come e quando si arrivò all’erezione del muro. Il dramma di Berlino ebbe inizio durante il summit di Yalta, nel febbraio 1945, allorché le quattro potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Unione Sovietica, Regno Unito e Francia) stabilirono che la capitale del Terzo Reich sarebbe stata divisa in quattro settori, ognuno dei quali controllato e amministrato dai vincitori. All’URSS toccò il settore più esteso. Nel frattempo, l’avanzata sovietica proseguiva su tutto il territorio tedesco, per arrestarsi, all’atto della resa del Terzo Reich, lungo la linea che verrà definita “cortina di ferro”: a occidente, le nazioni libere e indipendenti; a oriente, quelle private della libertà e sottomesse alle dittature comuniste, strettamente controllate da Mosca.

Berlino venne così a trovarsi in una situazione assolutamente unica al mondo: i berlinesi che abitavano nella zona sottoposta all’Urss furono privati di ogni libertà; quelli invece residenti nei tre quartieri controllati da americani, inglesi e francesi, iniziarono ad apprezzare i vantaggi della libertà di azione e di opinione alla quale avevano dovuto rinunciare durante il Terzo Reich.

Fino al 1948, sia pure con mille condizionamenti, i tre quartieri “liberi” di Berlino avevano potuto comunicare, per via terra e per via aerea, con la Germania Occidentale. Ma nel 1948 si verificò il cosiddetto “blocco di Berlino” da parte dell’Unione Sovietica, che spinse gli Alleati ad attuare il “ponte aereo per Berlino”, anche solo per rifornire i tre quartieri da essi controllati di viveri e generi di prima necessità.

Ben presto, si diffuse la denominazione di “Berlino Ovest” e “Berlino Est”, che non era soltanto una espressione geografica. Di fatto, i tre quartieri sottoposti ad americani, inglesi e francesi diventavano  una “enclave” della Germania Ovest, “enclave” completamente circondata dalla Germania Est. Nei primi tempi, ai cittadini di Berlino fu consentito di circolare liberamente in tutti i settori. I residenti nel quartiere controllato dai russi potevano tranquillamente recarsi nei quartieri americano-anglo-francesi, fare la spesa dove volevano, mandare i figli a scuola negli istituti preferiti, cercare lavoro ovunque.

Divenne, a poco a poco, sempre più imponente il flusso di cittadini della Germania Est, stufi dell’oppressione comunista, diretti a Berlino, ovviamente nei tre quartieri liberi, con l’obiettivo di raggiungere, da qui, per via aerea, la Germania Ovest, dove li attendevano parenti o amici stretti pronti ad aiutarli ad intraprendere una nuova esistenza. Le cifre parlano chiaro.

Circa due milioni e mezzo di tedeschi lasciarono la Germania Est ( DDR, Repubblica Democratica Tedesca) e Berlino Est tra il 1949 e il 1961: il flusso di fuggiaschi era costituito per circa la metà da persone giovani, sotto i 25 anni, e poneva la dirigenza della DDR di fronte a difficoltà sempre maggiori. Era di fatto impossibile controllare l’enorme massa di persone (in media mezzo milione) che ogni giorno passava i confini dei quattro settori di Berlino in tutte e due le direzioni avendo così modo di confrontare le condizioni di vita: un abisso tra chi viveva nel settore sovietizzato e chi aveva avuto la fortuna di nascere, crescere e abitare nei tre settori occidentalizzati.

I risultati non potevano mancare. Soltanto nel 1960 circa 200 mila tedeschi dell’Est si trasferirono stabilmente nella Germania Ovest, raggiungendola, per via aerea, da Berlino Ovest.

La DDR rischiava il collasso sociale ed economico.

Così, anche per effetto del peggioramento della “guerra fredda”, una serie di proibizioni calò sia sugli abitanti della zona “sovietizzata”, sia su coloro che avevano raggiunto Berlino provenienti da altre città o paesi della Germania Est. I loro movimenti subirono limitazioni sempre più pesanti.

Il 15 giugno 1961 il presidente del Consiglio di Stato della DDR dichiarò: «Nessuno ha intenzione di costruire un muro». Ma, poche settimane dopo, il 12 agosto, il Consiglio dei Ministri emise una ordinanza nella quale si poteva leggere: «Per impedire le attività ostili delle forze revansciste e militariste della Germania Occidentale e di Berlino Ovest, verrà introdotto ai confini della Repubblica Democratica Tedesca – compresi i confini dei settori occidentali di Berlino – un controllo pari a quello consueto ai confini di ogni Stato sovrano».

Ovviamente, queste misure erano volte a limitare la libertà della propria popolazione, non certo quella degli europei occidentali, liberi di recarsi dove volevano. La prima conseguenza fu che nelle prime ore del mattino di domenica 13 agosto 1961 furono eretti sbarramenti provvisori ai confini tra il settore sovietico e i tre settori “occidentali” e furono tolti tratti di pavimentazione sulle strade di collegamento, di fatto interrompendole. Squadre della “Polizia del Popolo” e della “Polizia dei Trasporti” bloccarono la circolazione al confine dei settori. Nelle settimane e nei giorni successivi, gli sbarramenti di filo spinato ai confini con i tre quartieri di Berlino Ovest furono sostituiti da un muro di lastre di cemento e blocchi forati. Vi erano strade i cui marciapiedi appartenevano ad uno dei quartieri di Berlino Ovest mentre la fila di edifici era stata assegnata alla Berlino sovietizzata.

Ebbene, senza esitare, il governo della DDR fece murare le entrate delle case e le finestre al piano terra. Gli abitanti potevano accedere alle loro abitazioni solo passando dalla parte dei cortili che si trovavano a Berlino Est.

Attraverso la costruzione del Muro, da un giorno all’altro furono tagliate e separate strade, piazze e case, e i collegamenti del traffico urbano furono interrotti. La sera del 13 agosto il borgomastro Willy Brandt disse davanti al Parlamento di Berlino: «L’amministrazione di Berlino denuncia davanti a tutto il mondo le misure illegali e inumane di chi divide la Germania, opprime Berlino Est e minaccia Berlino Ovest».

«Il Muro di Berlino», scriverà Enzo Bettiza nel suo celebre libro “1989. La fine del Novecento”, «fu concepito a Vienna fra il 3 e il 4 giugno 1961. Lo concepì in quei due giorni l’imprevedibile Nikita Kruscev durante un paio d’incontri, insieme fatali e falliti, con il presidente americano John Fitzgerald Kennedy.

Il vertice viennese era eccezionale sul piano mediatico e sembrava promettente su quello politico. Definito per quarantott’ore “storico” da famosi commentatori internazionali, accorsi da ogni parte nella capitale austriaca, avrebbe dovuto sminare il terreno sotto le zampate delle due superpotenze atomiche e inaugurare, all’insegna della coesistenza, un’era di distensione e di costruttivo armistizio.

Accadde l’esatto contrario. L’evento, anziché preannunciare un’epoca di negoziati e di compromessi planetari, segnò l’inizio della fase più acuta e pericolosa della guerra fredda. Si può ben dire che esso partorì la prima pietra del Muro. Di lì a poco, il 13 agosto, Kruscev, sostenuto dal complice tedesco Walter Ulbricht, avrebbe conficcato una spada di cemento armato nel cuore d’Europa».

Nel periodo successivo gli impianti di sbarramento furono ampliati sempre di più, il sistema di controllo fu perfezionato. Il muro all’interno della città, che divideva Berlino Est da Berlino Ovest, raggiunse una lunghezza di 43,1 chilometri. La parte degli impianti di sbarramento che isolava ermeticamente il resto della DDR lungo il confine con Berlino Ovest, aveva una lunghezza di 111,9 chilometri. Negli anni successivi, oltre 100 mila cittadini della DDR cercheranno di fuggire attraverso il confine tra le due Germanie oppure oltre il Muro di Berlino.

In base alla documentazione raccolta dal Centro di Storia Contemporanea di Potsdam,125 persone perderanno la vita tra il 1961 e il 1989 nel tentativo di oltrepassare il Muro, ma centinaia (il numero esatto non è stato possibile ricostruire) verranno abbattute dalle guardie di confine comuniste onde impedire loro di raggiungere la Germania Ovest e la libertà. 

 

Celebrazione del 9 novembre
GIORNO DELLA LIBERTÀ

 

Legge 15 aprile 2005, n. 61
(in GU 26 aprile 2005, n. 95)

 

Istituzione del «Giorno della libertà» in data 9 novembre in ricordo dell’abbattimento del muro di Berlino

ART. 1.

 

  1. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre «Giorno della libertà», quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo.
  1. In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti.

 

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