L’Arte del Costruire: il “Genio” di Alessandro Antonelli – 2° Giornata: 12 ottobre 2025-Presentazione di Aldo Mola

ALESSANDRO ANTONELLI: MIRARE ALTO di Aldo A. Mola
Imparare l’Arte
Antonelli (1798-1888) insegnò a elevarsi verso il cielo. Si sa che questo è inarrivabile, come fata morgana. Più ci si avvicina, più si allontana. Forse a quel modo ci esorta a occuparci meglio della «aiuola che ci fa tanto feroci», per dirla con Dante. Antonelli lo sperimentò. Celebre architetto e urbanista di prim’ordine, capì presto che per contare l’Artista deve fare i conti con il Potere. Da Milano, ove studiò all’Accademia di Brera, si trasferì a Torino. Vincitore a trent’anni del “Prix de Rome”, completò la sua formazione con cinque anni nella Città Eterna. Ne rimase abbagliato. Roma era ed è tutto. È la Storia. In quella Roma in bilico tra le diverse Età, indigesta a Giacomo Leopardi, Alessandro Antonelli studiò e strinse amicizia con artisti affermati. Mirò e rimirò. Colse l’anelito verso l’Eternità.
Tra arte e politica
Tornato nel Piemonte sabaudo, insegnò vent’anni all’Accademia Albertina, fiorente con Carlo Felice (re dal 1821 al ‘31, ultimo del suo ramo) e potenziata ulteriormente da Carlo Alberto di Savoia-Carignano (1831-1849), antico conte dell’impero napoleonico, di formazione europea, sovrano prudente. Nei quattro anni trascorsi negli uffici tecnici del demanio a Torino, Alessandro Antonelli coltivò amicizie tra le quinte di chi decideva: aristocratici a servizio dello Stato, borghesi affermati ed ecclesiastici. Ne comprese il cifrario e assecondò il movimento profondo che preparava il regno sabaudo ad assumere la guida della guerra contro l’impero d’Austria. Alla vigilia del Quarantotto metà delle ferrovie dell’intera Italia erano concentrate fra Piemonte e Liguria. La Corona aveva anche bisogno di opere monumentali nuove o debitamente restaurate, capaci di suggestionare chi arrivava a Torino dagli altri Stati italiani o da Oltralpe. Antonelli percepì il fermento che in pochi anni si manifestò con il successo del presbìtero neoguelfo Vincenzo Gioberti, forzatamente esule, autore del “Primato morale e civile degli italiani” (1843), con il conferimento dei diritti civili e politici ai valdesi e agli israeliti e con la promulgazione dello Statuto (1848). Quando, con le regie patenti del novembre 1847, Carlo Alberto introdusse l’elettività dei consigli comunali e divisionali (cioè provinciali), Antonelli fu pronto a scendere nell’agone dei consessi amministrativi. Si candidò e fu eletto al consiglio comunale di Torino e a quello divisionale di Novara.
Antonelli deputato
L’impegno nella vita politica è tra le pagine meno note della sua lunga e ricca biografia. Merita memoria. Antonelli fu eletto deputato il 20 marzo 1849 nel VII collegio elettorale di Torino, che contava appena 80 elettori. Alle prime elezioni, il 27 aprile 1848, l’avvocato Giovanni Giacomo Prever vi era prevalso con 40 preferenze su Benedetto Trompeo e Benedetto Bona, che ne ottennero 9 ciascuno. A differenza dei primi cinque collegi della capitale, il VI e il VII avevano un numero esiguo di elettori. Il collegio Torino I (il più ambito e disputato: fu quello di Cavour) ne contava 598; il II (che elesse Cesare Balbo e poi Giorgio Pallavicino Trivulzio) 606. Però in quelli “piccoli” la percentuale dei votanti risultò più elevata rispetto agli altri. Del VI si sa poco perché i verbali della prima elezione sono andati persi. Nel VII gli elettori chiamati alle urne il 22 gennaio 1849 per dar vita alla II legislatura erano 130. Al seggio ne andarono 89. Una percentuale assai elevata per l’epoca. Alla prima elezione della Camera, il 27 aprile 1848, due mesi dopo la promulgazione dello Statuto e mentre il regno era in guerra contro l’impero d’Austria, il cinquantenne Antonelli era personalità già affermata per le molte e prestigiose opere realizzate, in corso o progettate. Nessuno però pensò a lui come possibile membro della “Subalpina”, formata da 222 deputati, comprendenti i 18 componenti votati a Parma e a Piacenza, che, cacciato il duca, avevano dichiarato la propria dedizione la corona sabauda. Al voto gli aventi diritto andarono sulla base della legge del 17 marzo 1848, n. 729, integrata dal regio decreto del 20 giugno. La Camera aprì i lavori l’8 maggio 1848 a Palazzo Madama. Il principe Eugenio di Savoia, Luogotenente del re, lesse a senatori e a deputati il discorso della corona per conto di Carlo Alberto, che era alla guida dell’armata sarda in guerra contro l’impero d’Austria. Poi i deputati si trasferirono a Palazzo Carignano, ove proseguirono i lavori. La Camera elesse presidente Vincenzo Gioberti, al culmine della fama. In mancanza di un’urna, i votanti depositarono le schede in uno dei cappelli a cilindro messi a disposizione per l’occasione. Aperta sotto i migliori auspici, la legislatura fu travolta dallo sfortunato esito della guerra. Dopo alcuni successi e l’incerto esito della battaglia a Custoza (25 luglio), l’armata sarda ripiegò. Il 9 agosto il generale Salasco convenne l’armistizio con gli austriaci. Nel frattempo, al governo presieduto da Cesare Balbo erano subentrati quello guidato dal milanese Gabrio Casati, che si dimise e fu sostituito da Cesare Alfieri di Sostegno. L’11 ottobre si insediò il quarto governo del regno di Sardegna, presieduto da Ettore Perrone di San Martino. Dopo iniziali sedute caotiche e una lunga pausa, il 16 ottobre la Camera riprese i lavori e registrò la distinzione (che non significa divisione, cioè contrapposizione inconciliabile) tra conservatori (“destra”) e democratici (“sinistra”), comprendenti frange di repubblicani. Il quadro politico non era però solo “piemontese” o “italiano”. La “rivoluzione” iniziata in Francia nel febbraio del Quarantotto e dilagata in varie forme in gran parte d’Europa, era in rotta in molti Paesi. Con l’Allocuzione del 29 aprile Pio IX aveva separato la Chiesa dalla guerra contro l’Austria. Nel timore di eccessi, come quelli registrati a Parigi, ove l’arcivescovo cadde assassinato, Pio IX si trasferì a Gaeta, ospite del re delle Due Sicilie. Dopo tre proroghe, il 30 dicembre la Camera subalpina venne sciolta. Le elezioni furono convocate per il 15 gennaio 1849 e differite al 22. Al voto andarono circa 38.500 elettori su 80.000 aventi diritto. Nel collegio Torino VII il 22 gennaio Alessandro Antonelli risultò secondo dopo Gioberti, che su 61 votanti ebbe 26 suffragi contro i suoi 24. Il 9 febbraio a Roma Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino, e Giuseppe Garibaldi proclamarono la repubblica. Mazzini arrivò molto dopo. A Firenze il 20 si insediò il governo provvisorio dei triumviri. La Camera subalpina discusse se intervenire per restaurare il Granduca, come chiesto da Gioberti. La proposta venne respinta dall’opinione che contava. Il giorno dopo Gioberti si dimise e fu sostituito da Agostino Chiodo. La II Legislatura fu aperta il 1° febbraio con il discorso della Corona. Incombeva la ripresa della guerra. Carlo Alberto annunciò il progetto di una «Assemblea Costituente del Regno dell’Alta Italia», che era l’obiettivo massimo della guerra contro l’impero d’Austria. “Il governo costituzionale – aggiunse – si aggira sopra due cardini: il Re ed il Popolo. Dal primo nasce l’unità e la forza; dal secondo la libertà e il progresso della Nazione. Io feci e fo la mia parte, ordinando fra i miei popoli libere istituzioni […] Ma per vincere uopo è che all’Esercito concorra la Nazione; e ciò, o Signori, sta in voi, cioè sta in mano di quelle provincie che sono parti così preziose del nostro regno e del nostro cuore […] Prudenza e ardire insieme accoppiati ci salveranno”. Il 12 marzo Torino denunciò l’armistizio. Ai due parziali successi di Vigevano e di Mortara il 23 marzo seguirono la “brumal Novara”, l’abdicazione immediata di Carlo Alberto, che partì per il Portogallo scordando di firmare la rinuncia al trono, l’incontro a Vignale tra Vittorio Emanuele II e il maresciallo Radetzky, le dimissioni di Gabriele De Launay da presidente del Consiglio e l’avvento del ministero presieduto da Massimo d’Azeglio. La Camera fu sciolta con regio decreto del 29 marzo. Era durata 58 giorni. Fu la più breve e probabilmente una tra le meno assennate del regno di Sardegna. Non consta che Antonelli vi abbia preso la parola. La sua parabola parlamentare finì lì. I comizi elettorali vennero convocati il 15 e 22 luglio 1849 in 204 collegi. La III Legislatura fu inaugurata il 30 luglio. Non affrontò con responsabilità concludente la questione fondamentale. La ratifica della pace con l’Austria. Venne sciolta il 20 novembre 1849, dopo 87 sedute. Con il proclama di Moncalieri, scritto da Azeglio e firmato da Vittorio Emanuele II (20 novembre), gli elettori vennero esortati a votare con equilibrio. Lo fecero. Fu l’inizio del raccoglimento e la premessa del “centro-sinistra” di Camillo Cavour e Urbano Rattazzi.
Nelle elezioni del 15 luglio 1849 Antonelli era stato battuto da Carlo Promis, professore di architettura: 54 voti contro130. A conferma che non considerava concluso il suo impegno alla Camera, il 16-17 settembre si ripresentò ancora alle urne ma fu nuovamente sconfitto da Paolo Thaon da Revel (28 suffragi contro 84 al primo turno; 28 contro 93 al secondo). Nelle elezioni del 9 dicembre 1849 ebbe 74 voti contro i 178 andati a Thaon, che fu confermato nel 1853, ma nel 1857 fu sconfitto da Angelo Brofferio, antico cospiratore ed esponente dell’ala democratica della Camera subalpina.
L’Arte di Costruire prevalse sui partiti, etimologicamente divisivi
Antonelli non si ricandidò. Aveva ormai altre mire. La maggior parte dei parlamentari dell’epoca non ha lasciato traccia memorabile. Con le sue Opere, i progetti e la partecipazione costante alla vita pubblica, egli invece svettò e rimane.
Nel 150° della Cupola e dello Scurolo della Beata Panacea da lui realizzati a Ghemme, la sua figura e le sue opere vengono riproposte nella loro complessità. Ad alcuni suoi capolavori, inclusa la Mole di Torino, sono conferite valenze esoteriche. Ferma restando la libertà di pensiero e quindi di attribuzione di significati reconditi anche al di là delle intenzioni del loro Artefice, va ricordato che ogni opera d’arte (e tali sono anche le Storie) vive nell’interpretazione di chi ne fruisce. Va comunque ricordato che alla morte Antonelli ebbe funerali cattolici. Fu sepolto nella tomba di famiglia, al cimitero di Maggiora (Novara).
La sua figura e le sue opere sono al centro di questo secondo incontro all’Archivio di Stato di Novara su “L’Arte di costruire nel “genio” di Alessandro Antonelli”, con esposizione di fondi archivistici e di disegni originali provenienti dalla Famiglia Antonelli-Milanoli-Benzi. L’incontro fa seguito ai due convegni celebrati il 27 settembre a Ghemme e a Novara per iniziativa dell’Istituto di Studi Politici Giorgio Galli (ISPG), della Pro Loco di Novara e del Comune di Ghemme, con interventi di Caterina Zadra, Vinicio Serino (antropologo), Fabio Consonni, Rossana Mondoni (astrologa morpurghiana), Daniele V. Comero (presidente dell’ISPG), Roberto Tognetti e Gabrio Mambrini. Il convegno di Ghemme fu completato con la visita allo Scurolo della Beata Panacea e alla Parrocchiale di Santa Maria Assunta, altra suggestiva Opera antonelliana.
Si ricorda che i posti sono limitati, occorre prenotarsi tramite mail o al numero di cellulare indicato nel programma qui sopra.
L’incontro si svolge nell’ambito dell’apertura straordinaria dell’Archivio di Stato di Novara per l’importante Mostra
dei documenti originali provenienti da varie Famiglie, tra le quali si possono trovare alcune parti dell’eredità intellettuale
di Alessandro Antonelli:
“Archivi di Famiglia“


